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Da erede di Ginobili a “padrone” dell’Inter, anche alla faccia dei fischi

Il suo trisavolo Francesco Cambiaso partì a metà ‘800 da Serra Riccò, piccolo borgo in provincia di Genova, destinazione Argentina. Quando arrivò a Buenos Aires gli addetti sbagliarono a  registrare i suoi documenti, aggiunsero una S. La famiglia Cambiasso nacque così, fece fortuna in Sudamerica come tanti altri emigranti dalle scarpe grosse ma da cervello fino.

Esteban vedeva solo il basket, i suoi genitori gli avevano trasmesso la passione per la palla a spicchi fin da piccolo, quando Ramon Maddoni lo convinse a deviare verso il calcio ebbe qualche titubanza che si è portato dietro per molto tempo “Sarei presuntuoso a dire che avrei fatto una carriera importante anche nel basket. Però quando ho smesso posso dire che giocavo meglio a basket che a calcio, mi consigliavano di non lasciarlo” ha detto il Cuchu qualche anno fa.

Ma la scelta fu azzeccata. Se ne convinse poco tempo dopo,  quando Pekermann lo chiamò nell’Under 20 dell’Albiceleste anche se non aveva ancora 17 anni per il Mondiale di categoria nel Qatar. Non toccò il campo fino alla finale per il 3 e 4 posto, quella la giocò da titolare. Quel giorno la sua storia cambiò, una personalità debordante osservata attentamente dagli emissari del Real Madrid presenti sugli spalti. Pochi giorni dopo Esteban e suo fratello vestivano la camiseta blanca per la prima volta, forse troppo presto per due ragazzini che ancora dovevano mangiare pappa. 4 anni di prestito prima all’Indipendiente poi al River apparecchiarono alla perfezione il tavolo per il ritorno alla casa madre spagnola.

Era il Real dei Galacticos, una sfilata di moda e di talenti  più che una squadra di calcio, vincente ma non quanto ci si aspettasse. “Se dai la scelta agli 86’000 spettatori del Real Madrid su dove volessero che andasse quella palla, sicuramente tra Beckham, Ronaldo, Figo, Zidane ed il sottoscritto la scelta è quasi obbligata. Quindi se doveva cadere uno, non c’è alcun dubbio che il desiderio sia caduto sempre su di me” raccontava il Cuchu.

Giocava troppo semplice, troppo efficace senza spettacolarizzare niente, quel Real non poteva permettersi uno così, nel 2004 dunque via libera all’Inter a parametro zero. Tifosi e addetti ai lavori lo accolsero senza entusiasmo,  “sarà un altro bidone, se fosse stato buono il Real lo avrebbe regalato a noi? “

Il resto è una storia conosciuta, quella di un mostro di lucidità che pensava prima e meglio degli altri, che sapeva cosa fare un secondo prima di ricevere il pallone, che cercava sempre di capire se poteva arrivare o no sul pallone. Se ci arrivava, andava. Se no, per andare tanto per andare, non ci andava. “Se non sei sicuro di arrivare sul pallone, hai tutto da perdere.“

La storia di un legame straordinario con Giacinto Facchetti, il primo gol dopo la scomparsa del Cipe è il suo a Firenze, la sua dedica all’amico Presidente è un atto d’amore vero. E poi la 3 indossata dopo lo scudetto di quell’anno e, soprattutto, nella notte magica del Triplete al Bernabeu.

La storia di un legame con l’Inter più profondo di ogni avversità, anche dei fischi che San Siro gli dedicò nel 2012 quando fu sostituito durante una partita orrenda con il Catania, anche delle lacrime che quella volta arrivarono prima del suo pensiero.

Una storia che, siamo in molti ad esserne convinti,  ancora non ha visto la scritta The End.

La gente dell’Inter è abituata ad aspettare. Nel frattempo buon compleanno Cuchu.